Gabel.es alla Street Art Acquedolci 2022 – Intervista
di Dominga Carrubba - Esiste un nonluogo dove si elenca anche l’integrazione socio-culturale fra i valori universali, immutabili e personali...
Questo luogo è l’arte, abitato dai cittadini del mondo che dialogano senza l’intervento di traduttori, ambasciatori e mediatori di pace.
Conoscendo il pensiero di Gabel.es, presente alla “Street Art Acquedolci” 2022, e guardando la sua opera, evocativa un Gesù in meditazione, mentre fa yoga, non si può non pensare all’Enciclica “Fratelli tutti” dove Papa Francesco scrive:
«[…] Il dialogo tra persone di religioni differenti non si fa solamente per diplomazia, cortesia o tolleranza.
Come hanno insegnato i Vescovi dell’India, «l’obiettivo del dialogo è stabilire amicizia, pace, armonia e condividere valori ed esperienze morali e spirituali in uno spirito di verità e amore».
L’integrazione socio-culturale è un valore personale irrinunciabile, perchè necessaria nel pieno sviluppo della persona umana e destabilizzante le differenze discriminatorie tra la cultura occidentale ed orientale, spesso dissimulate dall’egida della religione.
Afferma Gabel.es:
«Realizzo immagini che raccontano ed evocano e non posso fare altro che invitare chiunque guardi il mio “Gesù yogi” ad approfondire.»
Di certo l’opera di Gabel.es è un invito a riflettere sullo smarrimento dell’umanità digitale, manipolata dall’individualismo coraggioso nel cercare consensi sui social, però miope perché la realtà è un cammino relazionale che include e non scarta, accoglie e non rifiuta.
In un presente soggiogato da guerre a scacchiera nel mondo anche un murales come quello di Gabel.es può sintetizzare in un mero atteggiamento di meditazione, evocativo le pratiche di yoga orientale, la necessarietà dell’interazione culturale.
Nel vuoto etico-morale tuonano le parole di Papa Francesco:
«Allargando lo sguardo, con il Grande Imam Ahmad Al-Tayyeb abbiamo ricordato che «il rapporto tra Occidente e Oriente è un’indiscutibile reciproca necessità, che non può essere sostituita e nemmeno trascurata, affinché entrambi possano arricchirsi a vicenda della civiltà dell’altro, attraverso lo scambio e il dialogo delle culture. L’Occidente potrebbe trovare nella civiltà dell’Oriente rimedi per alcune sue malattie spirituali e religiose causate dal dominio del materialismo. E l’Oriente potrebbe trovare nella civiltà dell’Occidente tanti elementi che possono aiutarlo a salvarsi dalla debolezza, dalla divisione, dal conflitto e dal declino scientifico, tecnico e culturale.»
L’intervista
Come nasce la sua passione per la street art?
La passione per la street art nasce quando si è capito che le dinamiche delle gallerie e dei punti dove si poteva esporre nel periodo in cui ho iniziato erano abbastanza strette e complicate.
Quindi, c’erano luoghi ristretti dove si stava dentro o fuori e vi ho aderito un po’ per esigenza, quando la street art si diffondeva in Europa e, per quanto ci troviamo al sud dell’Europa, un poco dopo è arrivata anche da noi.
Pertanto, quello che si doveva comunicare, lo si poteva fare anche fuori e senza chiedere permessi.
Stiamo parlando di periodi in cui non c’erano ancora commissioni e festival come adesso, ma si andava per strada in autonomia.
Quindi la mia passione nasce come una forma di libertà.
Il suo lato artistico prevale sul desiderio di comunicare oppure “fare arte” è condivisione?
No, allora: un atteggiamento è comunicare e, secondo me, un altro è condividere.
I due atteggiamenti poi si possono intrecciare, può anche funzionare che l’arte possa essere libertà e condivisione, ma per me non è così, non lo è più.
Almeno per me è da ritenere come una specie di missione.
Come se ci fossero circostanze da comunicare sentendone il dovere, in quanto – non dico l’unico – ma faccio parte delle poche persone che asseconda questa esigenza senza sentirmi in difetto.
Questo è il motivo per cui ho smesso di creare soggetti a caso, di fare quello che mi passa per la testa.
Quindi non accosto più l’arte alla libertà o alla fantasia, ma ad una missione con obiettivi ben precisi, sostenuta da una buona dose del caso.
Ci sono anche estro, fantasia ma da orientare verso obiettivi.
Può delinearci un suo breve profilo?
Nasco soprattutto come disegnatore, nel senso che se qualcuno tempo fa aveva diviso – anche se poi tutte queste divisioni sono un po’ immaginarie – il mondo degli artisti tra coloro che hanno più la tendenza a dipingere e disegnatori, incisori e grafici…
Allora io appartengo a quest’ultima, chiaramente, nel senso che, anche se ho studiato un po’ pittura, di fatto in coerenza alla mia inclinazione verso il disegno, la grafica o l’incisione, prediligo la linea piuttosto che il colore, la sostanza piuttosto che le sfumature.
Quindi, predomina il soggetto anziché il modo con il quale viene rappresentato.
Ho trasferito questo modo di operare dal supporto cartaceo o digitale alla grande tela che può essere la parete.
Si tratta di una forma di adattamento che a volte può anche non avere un buon esito.
Come si interfacciano le sue opere con la libertà creativa?
Se prima avevo un approccio verso la libertà creativa più sereno, adesso mi pongo dei limiti, perché credo che non posso più permettermelo, nel senso che la libertà creativa va bene fino ad un certo punto, ma nel momento in cui si comunica aspirando che il messaggio arrivi a un certo tipo di persone, si deve ponderare la scelta del tema da dipingere.
Quindi la mia libertà creativa ha un ampio raggio ma prudente.
Se l’ispirazione nasce da uno stato d’animo oppure deriva dall’esterno?
Ebbene, cerco di mixare con equilibrio entrambi gli elementi.
È presente lo stato d’animo del momento, senza trascurare di leggere e approfondire il tema da realizzare.
Quindi al background unisco un margine di libertà creativa anche improvvisata.
L’ispirazione può derivare da tutto e, rappresentando soggetti sacri, persino da coincidenze stranissime.
A volte all’ispirazione casuale segue di vedere figure che la richiamano.
Così come può capitare che l’idea derivi da qualcosa che prima vedo e poi definisco.
Quali tecniche e quali colori prediligi per i tuoi murales?
La tecnica prediletta è penna su carta.
Poi trasformo il bozzetto adattandolo al muro e, in base alla struttura e alla grandezza, posso usare gli spray, la pittura, i quarzi o stampare.
Avendo studiato incisione, ho imparato ad adattarmi alle esigenze.
L’importante è il contenuto.
Quale messaggio viene veicolato con l’opera scelta per la street art 2022 ad Acquedolci?
Per quanto l’opera sia realizzata davanti ad un meccanico, io non lo sapevo… fa un po’ ridere, però magari è proprio lì che doveva stare…
Il messaggio veicolato riguarda l’intercambio tra le religioni che spesso sono dei contenitori a sé stanti, asettici, mentre in passato si mescolavano, influenzandosi a vicenda.
Si tratta di un Gesù yogi, che fa yoga, in posizione di meditazione.
La corona di raggi ricorda l’aureola.
Quasi qualcosa di orientale perché comunque i paesi dell’oriente sono quelli del Sol Levante.
Quindi, si evoca l’incontro tra occidente e oriente che, secondo me, riprende il tema di questo periodo.
Infatti, siamo arrivati, anche politicamente – seppure non mi occupo di politica – quasi alla resa dei conti tra Occidente e Oriente, che invece dovrebbero abbracciarsi.
Perchè rappresento Gesù che fa yoga?
Perché Gesù sarebbe il maestro per eccellenza, vale a dire che – per quanto oggi sia quasi fuori moda la nostra religione – analizzando i testi, soprattutto i vangeli, ci sono molti aspetti abbastanza contemporanei che si collegano anche alle discipline orientali.
Realizzo immagini che raccontano ed evocano e non posso fare altro che invitare chiunque guardi il mio “Gesù yogi” ad approfondire.
Se meditare è ritrovarsi, allora pregare è trovare Gesù tramite la conoscenza che parla alla coscienza.