Claudia Tripiciano, una giovane surrealista – intervista
di Dominga Carrubba - Claudia Tripiciano è la giovane pittrice d’ispirazione surrealista ospitata alla galleria messinese Spazio Macos con la personale “La testa piena di sogni”...

Era d’estate, una di quelle giornate assolate che vede l’orizzonte rarefatto ed evanescente, mescolato al verde degli alberi e rapito da corolle giallo-arancio, tanto mistificato che i passi sembrano annegarvi, la strada sdoppiarsi e le nuvole rimbalzare sulla terra...
D’un tratto, la nuvola più vaporosa trascina in primo piano una giovane donna con una valigia d’un colore marrone melanconico.
Si ferma, piega leggermente d’un lato il capo per guardare intorno ed anche in sé stessa, quando la nuvola, complice durante il viaggio, avvolse la testa piena di sogni…
Era in partenza o appena tornata? Tutti chiedevano nel vederla aspettare.
Poco importa se in partenza o di ritorno, perché la misteriosa figura femminile, protagonista in una tela di Claudia Tripiciano, continua a viaggiare nei sogni.
La giovane dipinta rappresenta la matrice surrealista nel segno della quale Claudia Tripiciano inizia ad usare il linguaggio pittorico per esprimere i percorsi interiori ed evocare la bellezza della natura nel raffigurare il macrocosmo naturale con i quattro elementi: il fuoco, la terra, l’acqua e l’aria.
Secondo André Breton, teorico del surrealismo, il pensiero umano consta di due momenti fondamentali: la veglia e il sogno, coniugati con armonia laddove la ragione, l’estetica e la morale non operano alcun controllo, perché la poesia delle parole si trasforma in associazioni figurative che superano la realtà senza negarla, esaltandone la forza espressiva ora misurata nel ritmo segnico-cromatico, dinamico oppure piatto come il tracciato di un cuore che pulsa emozioni, ora stupefacente come i lapilli dello Stromboli.
L’intervista
"La pittura è poesia silenziosa, la poesia è pittura che parla".
Questa frase del poeta greco Simonide di Ceo mette a confronto due forme d’arte diverse e complementari nell’emozionarsi.
Se pensa al momento o all’immagine da cui è scaturito il suo “fare pittura”, quale momento sceglierebbe per descriverne l’inizio?
Per me dipingere non è soltanto una passione, ma una vocazione che non ascolta ragioni logiche.
Il mio “istinto” è sempre stato quello di trovare e realizzare pienamente me stessa, con una vocazione particolare, quella di essere e sentirmi “artista”, una vocazione che era in me e si è manifestata nel tempo.
Ho sempre avvertito urgente la necessità di tradurre su carta, album o tela la mia realtà interiore.
Posso dire che il mio fare pittura nasce insito nel mio essere, da quando ho ricordi di bambina, ho sempre disegnato e dipinto.
Dopo averlo fatto per anni da autodidatta però, ho deciso di frequentare l’Accademia di Belle Arti “Lorenzo di Viterbo”, laureandomi in pittura.
In realtà, più che un momento preciso, c’è una tela che per me segna l’inizio vero e proprio del mio fare pittura, ed è “Universo donna”, un umile omaggio a Salvador Dalì.
In quest’opera è evidente il richiamo al sogno e alla fase onirica, un omaggio al passato e nel contempo una grande passione per il futuro; i fiori richiamano ciò che è trascorso e creano un’atmosfera surrealistica profonda.
I miei docenti dell’Accademia, infatti, hanno voluto sottolineare una componente “surreale” nella mia umile tecnica di pittura.
Non a caso si è detto “fare pittura”, perché in una composizione pittorica, oltre ad un sentimento o un’idea, ci sono lo stile e la tecnica.
Quali sono lo stile e la tecnica che caratterizzano le sue opere pittoriche?
Predilige la riproduzione della realtà oppure la reinterpretazione e la sperimentazione dei linguaggi pittorici?
La ricerca dell’immagine e della sovraesposizione mediatica hanno monopolizzato la nostra società che versa in uno status di degrado morale ad effetto domino.
Pensa che l’arte “non fluida” possa tuttora esercitare un ruolo divulgativo di contenuti costruttivi e veicolare emozioni inclusive?
Il mio “fare pittura” si estrinseca attraverso varie tecniche: olio, acrilici, acquerelli, pittura materica; scelgo la tecnica da utilizzare a seconda dell’opera e di quello che voglio trasmettere.
Per esempio gli acquerelli danno un senso di romanticismo e di profondità.
Non c’è una tecnica a priori, dipende molto da quello che voglio raccontare con le mie “immagini”.
Come dicevo prima, il mio stile figurativo ad un certo punto si perde nel surrealismo.
Non contestualizzo mai le mie figure, amo riempire i vuoti con il colore perché i sentimenti non hanno né spazio, né tempo…sono assoluti.
Sono fermamente convinta che l’arte “non fluida” possa avere ancora un ruolo divulgativo.
Certo… la strada è tortuosa ma dobbiamo crederci, soprattutto noi pittori.
Vorrei tanto che la mia pittura riuscisse ad avvicinare più gente possibile all’arte.
Giovanni Paolo II definiva l’artista “geniale costruttore di bellezza”, e certamente la bellezza può essere d’aiuto al mondo.
L’arte è emozione, suggestione, passione, gioia, dolore, solitudine.
Attraverso l’arte possiamo far riabituare i giovani ai sentimenti, ai valori importanti della vita.
Possiamo ricordare loro di RALLENTARE.
Ormai tutto scorre veloce, non siamo più abituati all’ascolto, alla riflessione, allo stupore di un tramonto.
L’arte può e deve fare tutto questo.
Se fosse possibile tornare indietro nel tempo, quale corrente artistica sceglierebbe come più coerente all’impronta estetica che segna le sue opere?
In effetti, pur avendo conservato l’impronta della cultura classica introiettata negli anni della mia formazione scolastica, sento fortemente di non essere estranea agli itinerari delle avanguardie del Novecento, a partire dal Surrealismo.
Come dicevo nella prima domanda sono molto vicina a pittori come Magritte, Dalì, ovvero i grandi surrealisti.
La tematica del sogno è molto presente nelle mie opere, il sogno individuato come immagine pittorica evocata dai recessi più profondi della psiche.
La nostra intervista è iniziata con un’antica definizione della pittura.
Quale definizione darebbe alla sua arte e qual è il rapporto con le sue opere?
Non è semplice definire sé stessi e le proprie opere.
Mi verrebbe da dire che sono trasognate e surreali, raccontano di riflessioni attente e arrivano dritte ad un concetto:
la messa in luce di quel bilico che coesiste tra certezze e dubbi, paradigmi della vita su ciò che siamo all’apparenza e che desideriamo essere.
Attraverso le mie opere cerco di raccontare che l’essere umano è la commistione di infinite emozioni che devono convivere tra loro in armonia…o forse no!
Ritengo che l’arte sia in quei momenti di perdizione che ti fanno mancare il fiato.
Il mio stile figurativo è espresso, spesso, su un ambiente surreale, ciò denota una mia naturale inclinazione a discostarmi dalla realtà, a dare forma a sentimenti assoluti, che vanno oltre lo spazio e il tempo.
Con le mie opere ho un rapporto molto intimo, a tratti autobiografico.
Credo, per esempio, che la mia predilezione per le figure femminili nasca dal fatto che vorrei portare al mondo la grandiosità del nostro universo, fatto di tante sfumature.
Siamo donne, siamo mogli, siamo mamme, e siamo fatte di mille cassetti, alcuni aperti, altri socchiusi ed altri ancora totalmente chiusi, da scoprire.
Vorrei che dalla mia pittura trasparisse un sentimento di ascolto e di attenzione alle cose piccole del mondo, attraverso un lavoro di cesello cromatico che spesso spinge oltre il reale.
Se nel sogno non c’è misura, allora in pittura non c’è limite entro cui fermare l’immaginazione con la quale tradurre i sogni in pensieri e percezioni con forme e colori.