La Judaica di Messina
Incontri con le scuole al Palacultura il 25 e il 31 gennaio

" Noi lasceremo, e per sempre, queste terre dove siamo nati, dove sono nati i nostri padri, dove la nostra nazione ha inteso meno che altrove il dolore dell'esilio ".
Così, secondo W.Galt, si sarebbe lamentato il rabbino Mosè Abbanascia annunciando alla comunità ebraica di Palermo l'editto d'espulsione dell'intera popolazione ebrea di Spagna e dei suoi domini, Sicilia compresa. Il 31 marzo 1492 i cattolicissimi re e regina Ferdinando e Isabella posero fine, con un atto di inaudita violenza e arbitrarietà, alla presenza ebraica che aveva caratterizzato per più di mille anni la popolazione siciliana. Spettò a Don Ferdinando de Acugna, conte di Buendia e vicerè di Sicilia, che in quel periodo risiedeva a Messina, la promulgazione e la successiva applicazione dell'editto, che dava tempo tre mesi alla comunità israelitica per lasciare l'isola, pena la condanna capitale e la perdita dei loro averi. Nel frattempo in linea con la tradizionale rapacità del regio erario ,furono messi sotto sequestro tutti i loro beni mobili e immobili; così su iniziativa de Consiglio Generale la Camera Regia e la Camera Reginale incassarono rispettivamente 100.000 e 20.000 fiorini, oltre uno speciale donativo per il vicerè di 5000 fiorini per ottenerne successivamente il dissequestro. ( La comunità di Messina dovette versare all'erario 5.500 fiorini ). Messina fu il luogo prescelto per concentrare tutte le comunità ebraiche siciliane, in attesa della definitiva partenza dalla Sicilia: una volta pagate le somme stabilite per ciascun gruppo, fu loro intimato di lasciare la località di residenza e di raggiungere Messina. Gli ambasciatori delle comunità siciliane arrivarono a Messina dove costituirono un fondo di emergenza che fu depositato nel banco degli ebrei Muxa e Aron Compagna, per essere usato secondo le eventuali necessità: il fondo fu costituito versando un tarì per ogni casa ebraica. L'inviato della città di Palermo, Pier Antonio Imperatore, assieme allo Stratigò e ai Giurati di Messina chiesero inutilmente al vicerè de Acugna una sospensione del termine dei tre mesi .