Di vento e d’Aurora: un romanzo, tante storie, una sola verità
di Dominga Carrubba - Di vento e d’Aurora è il nuovo romanzo di Rossella C. Nunziata, scrittrice e docente calabrese di Rovito (CS), pubblicato da Le Trame di Circe per la Collana Les Pochette, disponibile su cartaceo e digitale…
In uno scenario immaginoso, dai colori surreali che sembrano albeggiare e tramontare laddove la linea d’orizzonte si confonde ad un cielo avviluppato in onde nebulose, ecco che la copertina, realizzata da Valeria Panzironi, è dominata da una figura delineata di spalle, avvolta da un cappotto che la copre, nasconde, ripara.
Chi è? Forse è Aurora? La protagonista del romanzo con tante storie declinate in un tempo non misurabile, perché percorso da sentimenti che mancano di memoria oggettiva, restando l’essenza composta dalla sola dimensione che risplenda di luce intrinseca: la verità.
Il romanzo “Di vento e d’Aurora” racconta una sola verità: la realtà vissuta non è relegabile allo spazio-tempo, ma fluisce nell’anima che trova origine in “anemos”, un soffio, un alito di vento.
Trama
«Quando Arturo dette segni di stanchezza, Aurora capì che era arrivato il momento di affrontare la realtà […]».
Arturo è il gatto eroe, astuto, pungolo per la coscienza e per la memoria di Aurora, ma soprattutto ne è il riparo tutte le volte che il soffio della vita si affievolisce, perché sovrastato dai sussulti della collera, della sofferenza, della solitudine tanto rumorosa quanto il silenzio dal quale fuggire.
In flashback ricorrenti il romanzo si apre alla lettura in storie di donne e uomini in una società ancora arcaica e patriarcale in Calabria durante gli anni Sessanta, nel piccolo paesino Roccapetrosa.
Perché Aurora confessa che “la bellezza del Paese sta proprio nella sua inaccessibilità, nel suo regale isolamento”?
È vero che la bellezza del Paese è testimone spesso inerme e non complice della bruttura di azioni devastanti la vita di donne costrette, violate, seviziate.
L’inaccessibilità eclissa la bellezza e il regale isolamento delimita il passo nello sviluppo delle coscienze.
Aurora, dopo avere ucciso l’aggressore e stupratore della sorella, cerca l’inaccessibilità e l’isolamento rifugiandosi a Milano.
“Non ti mettere paura, Dio vede e Maria prega” – affiora alla memoria di Aurora, che ritorna dopo venti anni a casa, da Babba, sua balia e amica, dalla madre e soprattutto ritorna a sé stessa.
Ma se “la cultura non ferma il male” – replica Babba ad Aurora - come sradicare la violenza virale che contamina le anime? Quella stessa violenza espressa abilmente dall’Autrice con un linguaggio così diretto e immagini talora tanto aggressive da trasformare il lettore in uno spettatore.
“Si puniva. Si odiava. Si rifiutava. Si graffiava il cuore” - così il narratore riferisce di Aurora.
E se si trattasse di una violenza non percepita? Purtroppo c’è anche la violenza ai danni di persone considerate inanimate e non sensibili, “con la testa vuota” da manovrare e usare.
«Avvenne nel giorno dei festeggiamenti del Santo Patrono.
Nell’ora morta, quando il sole offusca le menti e vomita vampe di fuoco, quando le persiane sono chiuse e non si sentono i rumori dei passi o lo stridore dei motori, nell’ora in cui le bestie si stravaccano boccheggiando e le idee si staccano dai corpi per dare pace alle menti, dalla terra uscì la bestia e catturò le prede che straziarono l’innocente».
Un innocente dalla “testa vuota” si ritrova con il corpo violato, usato come un oggetto per soddisfare piaceri anaffettivi e reazioni istintive.
Come salvare l’innocenza? Come salvare la donna senza defraudarla della femminilità? Come salvare la donna che ha diritto di esercitare la sua libertà?
Il gatto Arturo è l’alter ego di Aurora, coraggioso nel ribellarsi, piangere, fuggire ed infine restare testimone e artefice.
«[… Oh, oh dormi, dormi cuoricino mio. I nostri pensieri leggeri… son fatti di vento… e d’auror […]» - intonava Babba quando Aurora non riusciva ad addormentarsi.
Una canzoncina ha il potere di portare la memoria indietro nel tempo oppure fermarlo laddove i ricordi dimorano nella serenità, nell’attimo prima che una tempesta sconvolga l’equilibrio interiore.
Volersi bene, amare la vita senza sprecarla e viverla senza piangere: questa è la strada del ritorno, indicata da Assuntina ad Aurora.
«Assuntina, era una ragazza grassoccia, bassina, truccata come una maschera, con tanti capelli neri, ricci, e un sorriso aperto. Si vedeva che era piena di vita, sicura.»
Ma, soprattutto, Assuntina supera l’esame con Arturo - «Lei parlava, parlava, rideva, ogni tanto si fermava e lo baciava.»
Aurora come Giuditta che decapita Oloferne.
Aurora come Artemisia Gentileschi che dipinse “Giuditta decapita Oloferne”.
E noi spettatori non possiamo che immaginare quanto sia stata faticosa la realizzazione della tela per Artemisia, trasponendo la violenza dei ricordi dello stupro patito nell'abitazione dei Gentileschi con la complicità di Cosimo Quorli, furiere della camera apostolica, e di una certa Tuzia, vicina di casa.
[…] mi mise una mano con un fazzoletto alla gola et alla bocca acciò non gridassi e le mani quali prima mi teneva con l’altra mano mi le lasciò […] (Artemisia Gentileschi così descrive lo stupro)
Quante donne dovranno ancora avvertire mani come armi stringere la loro gola e tappare la loro bocca, fino a serrare il respiro?
Ascoltiamo di creature martoriate, persino date a fuoco, poi finite in statistiche aggiornate.
Uccidere una donna significa interrompere una vita ed impedire che nasca un’altra possibile vita.
Noi tutti vorremmo presto risvegliarci da questa eclisse sociale risollevati di vento e d’aurora.