ECHI DEL CARME I SEPOLCRI DI UGO FOSCOLO

ECHI DEL CARME I SEPOLCRI  DI UGO FOSCOLO

di Sebastiano Saglimbeni -

 

….  perché gli occhi dell’uom cercan morendo

il Sole…  (U. Foscolo)

 

Echi dei del carme I Sepolcri se ancora potranno educare alla meditazione. Studiavamo nelle nostre Scuole, secondo i vigenti programmi ministeriali del dopoguerra, e   ritenevamo pure, con  orgoglio, a memoria, alcuni testi poetici  e prosastici di nostri autori. Maggiori e minori. Fra questi, quelli di Ugo Foscolo, il poeta esule, nato nel 1778 a Zante e morto nel 1827 a 49 anni, povero, divorato dalla tisi, nel villaggio londinese di Turnham Green. Venne  sepolto nel cimitero di Chiswick, da dove, dopo 44 anni, il 24 maggio  1871, i suoi resti vennero trasferiti nel nostro Paese, a Firenze, nel tempio di Santa Croce che il poeta aveva cantato e solennizzato nel 1807 con la pubblicazione del carme . Allora, per quell’avvenimento, Francesco De Sanctis dedicò al poeta un grande saggio, mentre il poeta Giosue Carducci compose  una lunga canzone traboccante di lodi dal titolo “Per il trasporto delle reliquie  di Ugo Foscolo in Santa Croce”. Ci appassionava del Foscolo, soprattutto, la poesia, che, complice il sovraccarico di altre Discipline, dovevamo apprendere riduttivamente.  Più tardi chi,  ad esempio, come chi scrive, divenne un insegnante di materie letterarie poté accostarsi alla conoscenza più completa dell’opera foscoliana, copiosa, minore e maggiore.

 

Da quegli eccelsi versi endecasillabi sciolti, dall’incipit “A egregie cose…”, molto antologizzati, ad altri del carme, come:

 

“Pur nuova legge impone oggi i sepolcri

fuor de’ guardi pietosi, e il nome a’  morti

contende. E senza tomba giace il tuo

sacerdote, o Talìa,  che a te cantando

nel suo povero tetto educò un lauro

con lungo amore, e t’appendea corone;

e tu gli ornavi del tuo riso i canti

che il lombardo pungean Sardanapàlo,

cui solo è dolce il muggito de’ buoi

che dagli antri abduani e dal Ticino

lo fan d ‘ozj  beato e di vivande.

 

Da questa versificazione emerge il riferimento ad una nuova  legge, quel decreto emanato da Napoleone il 12 giugno 1804 a Saint Cloud, esteso al nostro Paese il 5 settembre 1806. I cadaveri - non era consentita alcuna distinzione - dovevano avere sepoltura in cimiteri pubblici collocati distanti dalle mura urbane. Per giunta, veniva censurata la dimensione delle pietre sepolcrali e gli epitaffi subivano una sorta di controllo ed una conseguente ammissione della magistratura. Veniva così subissata  la fama dei defunti illustri come il poeta, autore de “Il Giorno”  e de “Le Odi”, Giuseppe Parini, orbato di un degno sepolcro. Ispirato dalla musa  Talìa aveva satireggiato e frustato il giovane lombardo, ricco e corrotto, paragonato all’atavico potente re assiro Sardanapalo.

 

Felice te il regno ampio de’ venti

Ippolito, a’ tuoi verdi anni correvi!

E se il piloto ti drizzò l’antenna

oltre l’isole  egee, d’antichi fatti

certo udisti suonar dell’Ellesponto

i liti, e la marea mugghiar portando

alle prode retee l’armi d’Achille

sovra l’ossa di Aiace: a’ generosi

giusta di glorie dispensiera è morte;

né senno astuto, né favor di regi

all’ Itaco le spoglie ardue serbava,

ché alla poppa raminga le ritolse

l’onda incitata dagl’inferni Dei

 

In questi versi un altro poeta, il veronese Ippolito Pindemonte, autore di diverse opere, amico del Foscolo, che gli dedicò il carme. Di Pindemonte famosissima la traduzione dell’Odissea. Ne leggemmo i versi endecasillabi in quel lontano  e triste dopoguerra. Instancabile  viaggiatore, negli anni della sua  giovinezza  percorse l’immensità delle acque marine. E se il pilota, mentre viaggiante, rivolse la prora della nave oltre l’arcipelago egeo sicuramente Ippolito avrà inteso riecheggiare dall’Ellesponto quelle vetuste vicende di gloria e mugghiare  la marea, recante le armi di Achille sopra il sepolcro di Aiace sulle rive del promontorio reteo, il Bosforo tracio. La morte non è beffarda: generosa sa dispensare giustamente la gloria agli uomini integerrimi. Così ad Ulisse non sono valsi, né l’astuzia, né il favore dei re Agamennone e Menelao ad ottenere, come trofeo bellico, le famose armi di Achille. Infallibile il volere degli dèi sotterranei che le strapparono alla nave errante dell’uomo che le aveva ottenute con inganno.

 

E me che i tempi ed il desio d’onore

fan per diversa gente ir fuggitivo,

me ad evocar gli eroi chiamin le   Muse

del mortale pensiero animatrici.

 

Felice il Pindemonte, e  Foscolo, che, per i tempi avversi e per il desiderio di conseguire onori, erra esule di “gente in gente”, venga scelto dalle  Muse, ispiratrici del pensiero umano, a celebrare i grandi.

 

Dal verso 230 sino al 295, la conclusione del carme, il  Foscolo assurge a supremo cantore di Troia e della sua grandezza e dei suoi uomini e della sua fine tragica e della schiavitù muliebre. Eccelse le figure della profetessa Cassandra, mai creduta, che predisse la fine tragica della sua città, del vecchio cieco mendico Omero e, infine,  di Ettore.

 

Il sacro vate,

placando quelle afflitte alme col canto,

i prenci argivi eternerà per quante

abbraccia terre il gran padre Oceano.

E tu onor di pianti , Ettore, avrai

ove fia santo e lagrimato il sangue

per la patria versato, e finché il Sole

risplenderà sulle sciagure umane.

 

L’eroe Ettore sarà solennizzato e lacrimato ogni qualvolta si muore in difesa della patria e della libertà, sino a quando il sole  continuerà  a splendere sulle sventure umane.

 

Ed infine, non si trascuri, in luogo di altro vacuo, il pensiero scritto di Ugo Foscolo.