Lorenzo Martino illustra il “Colapesce” di Buttitta

di Dominga Carrubba - Con un testo di Gesualdo Bufalino e le illustrazioni di Lorenzo Martino torna il “Colapesce” del poeta dialettale siciliano Ignazio Buttitta…

Lorenzo Martino illustra il “Colapesce” di Buttitta

Pubblicato nel 1986, l’opera teatrale in due atti di Ignazio Buttitta torna ad essere attuale il 7 luglio 2023 con la riedizione a cura di Mesogea, casa editrice messinese che nel 1999 inizia a navigare il mare nostrum delle culture mediterranee “tra Scilla e Cariddi, un luogo che per noi è un richiamo alla responsabilità: qui si è costretti a fare continuamente i conti con mitologie remote e catastrofi quotidiane”.

Così la casa editrice Mesogea presenta il suo progetto che non a caso piace ricordare in occasione della riedizione del “Colapesce” in dialetto di Buttitta, perché è l’eroe leggendario con pinne al posto delle braccia e branchie al posto dei polmoni che oggi più rappresenta il richiamo alla responsabilità.

Le leggende trasmettono alle generazioni  verità tessute dall’immaginazione con le fila consegnate dalla realtà.

«Forse databile ai tempi di Federico di Svevia, forse ancora più antica» - si legge nel commento di Gesualdo Bufalino sulla prima edizione di "Colapesce" di  Buttitta, introdotta da Melo Freni, pubblicata nel 1986 dalle edizioni P&M e andata in scena a Messina con la regia di Romano Bernardi nel marzo dello stesso anno.

Chi è Colapesce? Un mezzo uomo oppure un mezzo pesce?

Un abile nuotatore e conoscitore degli abissi marini dell’isola che si estendono in “quel letto di fuoco donde essa sorge, reggendosi su tre colonne, l’una intatta, corrosa l’altra, pessima a franare la terza” - scriveva Gesualdo Bufalino.

O piuttosto era “ n’ancilu, / un Santu, / un patri, / n’amanti: un galofaru, ti cridia”, come rimprovera la Ninfa a “Colapisci…unu sulu ntuttu u munnu” , innamorata e incinta di lui.

Coerenza nelle scelte, umiltà nel rispondere alle sfide, responsabilità nel curare il bene collettivo, amore non utilitarista: queste le caratteristiche d’un palombaro d’altri tempi nel segno di una leggenda raccontata da Ignazio Buttitta con la passione dirompente del dialetto, che muove le parole come suoni lungo l’asta di un metronomo.

I sentimenti oscillano, s’alternano, ondeggiano tra il ritmo vivace, agitato e ansioso dell’amore protettivo di donna Sufia , a matri di Cola , pacinziusa, u raccumannava o Signuri, e dall’altra parte il ritmo in adagio, moderato e suadente della passione di una Ninfa che domanda dedizione “si è veru ca m’ami scappamu/: pigghiamu un vileru/ addubbamumu di ciuri / e sarpamu pi n’autra Isula./ u munnu è granni, c’è tanti Isuli!

La leggiadria immortale della Ninfa, agreste e connaturata alle sorgenti, è paradossalmente il richiamo figurativo che meglio evidenzia la fragilità indotta dai sentimenti.

Lorenzo Martino ne disegna il profilo evocativo la natura e consapevole di dovere competere con un amuri chiù granni.

Quannu nasci stu figghiu e mi dumanna/ cu è me patri? […] Ora mi l’hai a diri! Chi ci dicu? To patri, è un nataturi famusu / e susteni i culonni da Sicilia? […] Ca ti scurdasti un orfanu, / e na matri chi cianci?

Chi è Colapesce? Un angelo, un santo, un padre, un amante, un garofano? – cridìa la Ninfa.

Colapesce rappresenta quel senso di responsabilità che non degrada nonostante le sfide lanciate dal Re di Sicilia, spinto dalla curiosità, incredulità, o forse più semplicemente dall’invidia per la fama riservata ad un essere mezzo uomo e mezzo pesce.

I tre doni lanciati in mare dal Re rappresentano la ricchezza (la coppa d’oro), il potere (la corona) e l’amore (l’anello).

Perché Lorenzo Martino preferisce illustrare la coppa d’oro e la corona, ma non l’anello?

Le interpretazioni potrebbero essere svariate, ma piace pensare che l’anello/l'amore non vada esposto come trofeo, ma tutelato, custodito alla base di una delle tre colonne, quella più bisognosa di cure e di amore che accoglie e non distingue, che abbraccia l’altro nella sua diversità, tale da accrescere la ricchezza contenuta in una coppa d’oro, superandone il bordo, oltre lo spazio di una generazione e il tempo di una sfida.

La piazza di fronte allo Stretto di Messina, affollata di pescatori, rivenditori e nel centro la Madonna della Lettera è non a caso l’incipit del "Colapesce" di Buttitta, il quale consegna la verità di un popolo alla coralità della folla, di un gruppo folcloristico, delle storie replicanti di un cantastorie.

Oggi quale verità rimbalza tramite la folla mediatica?

Quanta ricchezza culturale si nega di entrare nella piazza della contemporanea  società liquida?

Quanto risulta degradante e corrosivo il potere di un’economia non sostenibile, strumentale allo scarto di persone ritenute non più utili, diverse e destinate a rimanere profughi nella “casa comune”, vale a dire l’ambiente creato per tutti senza distinzioni?

Colapesce conosceva bene il valore dell’uguaglianza, superiore all’interesse personale.

Colapisci risponde alla Ninfa: “Mi nni vaju, to dissi: / ad ogni amuri c’è n’amuri chiù granni […] Vinni pi salutarti […] Tutti i picciriddi su figghi mei! / I voi annigati? […] Vinni p’amuri / e o figghiu chi nasci  stratagghiu l’unni /  e ci ni fazzu fasci!”

Il tratto sottile, netto, minuzioso della tavola in bianco e nero di Lorenzo Martino segna la scelta dell'eroe di tornare negli abissi del mare per continuare a sorreggere la Sicilia.

Intanto le voci della folla muovono la scena su terraferma.

Veru ca vonnu u ponti nno Strittu?!

Replica Colapisci, sempre vigile: “Vogghiu a Sicilia libera e patruna du so distinu!”

Quella stessa libertà disonorata dalla mafia che cumanna, ammazza, arrobba e suttametti l’omini onesti.

Il Colapesce di Buttitta è un manifesto duttile ai tempi, incentrato sul rispetto dell’altro e dell’ambiente in seno ad una società affidata alla forza trascinante della coralità nel partecipare ad un dialogo trasversale come l’arte, libero come la parola, costruttivo come l'inclusione.

 

L’intervista

Il modo più immediato per trasmettere un messaggio rimane di certo l’immagine, un disegno che contiene parole nei segni e le tonalità nei colori, anche fosse il tratto bianco-nero. Qual’ è stato il criterio di scelta delle scene da illustrare?

Il testo di Ignazio Buttitta è un testo molto evocativo.

Nel leggere i suoi versi, mi sono sopraggiunte alla mente alcune immagini, in maniera spontanea.

Leggere, ad esempio, una determinata scena mi ha portato ad immaginare gli oggetti presenti su un ripiano di casa; un’altra scena mi ha indotto a tratteggiare il viso di quel personaggio che la interpretava; un’altra situazione ancora mi ha portato a descrivere un paesaggio o un’architettura.

Così ho scelto di accompagnare al racconto illustrazioni di diverso tipo, che andassero dal dettaglio fino alla descrizione di grandi spazi, con l’intento di ricostruire quelle suggestioni diverse, frammentarie da un lato, ma riconducibili ad una stessa atmosfera a metà tra il realistico ed il magico.

Dalla cover si denota l’accurata ricercatezza negli abiti dei personaggi di una leggenda ambientata nel periodo normanno dell’Imperatore Federico di Svevia. Documentarsi significa “entrare nella parte”. Da cosa ha tratto l’ispirazione per illustrare i quadri dell’opera “Colapesce” in due tempi di Buttitta?

Una delle cose che mi ha maggiormente colpito di questa versione di Colapesce è proprio la sua capacità di rompere le barriere temporali.

Infatti, seppur vi è nei versi e nelle atmosfere il richiamo ad un tempo passato, leggendario, è presto evidente che qui Colapesce è anche un eroe dei nostri giorni, che parla di mafia e ponte sullo stretto.

Trovo che questa trasversalità del personaggio nelle diverse epoche sia stupefacente, ed ho quindi cercato di non descrivere un preciso momento storico in cui ambientare le illustrazioni. Durante il lavoro mi hanno ispirato alcune foto d’epoca di persone, oggetti e paesaggi siciliani dell’Ottocento e del primo Novecento che ho ritenuto coerenti con la dimensione evocativa e partecipativa suggerita dal testo.

Anche foto di reperti e costumi di epoca medievale o moderna hanno contribuito a dar vita al mosaico di suggestioni che ho provato a comporre.

Colapesce è una figura eroica, leggendaria e favoleggiante nel trasferire alle generazioni una morale senza limiti di tempo e di spazio, che risponde al senso di responsabilità civica e collettiva.

Il re lancia tre sfide a Colapesce per metterne alla prova la sua prodezza.

Se Lei potesse illustrare un’impresa costruttiva per una Sicilia di fatto traballante, quale disegnerebbe immaginando in ciascuno dei Siciliani il Colapesce che sostiene negli abissi marini la colonna più segnata da pericolose spaccature?

Credo che questa impresa possa essere riconducibile a tutti i gesti di rispetto ed amore che i Siciliani fanno nei confronti della loro terra.

Dai gesti più grandi come l’impegno concreto di alcune persone contro la criminalità e la mentalità criminale, fino ai gesti più piccoli come la pulizia e la cura del proprio territorio. Anche la scelta di rimanere in Sicilia per viverla con rispetto è, a mio parere, un’impresa difficile ed encomiabile.

Ciascuno di noi può essere Colapesce con un semplice gesto, ma nessuno di noi può sostenere la colonna da solo.

Concludiamo il nostro viaggio fra la terra e il mare tornando nella piazza raccontata da Ignazio Buttitta.

Sono le rassicuranti parole di un pescatore che portano sulla scena del presente la resilienza della Sicilia:

Viva Colapisci! / Iddu nni pruteggi / iduu abbrazza a culonna!”