“Un popolo in armi” dice Mattarella. Ma fu così?

Il 25 aprile ricorda “un popolo in armi” secondo il Presidente della Repubblica. La sua affermazione, affascinante dal punto di vista della retorica, regge però al riscontro della realtà storica? Fu veramente “un popolo in armi”? Nella Resistenza furono in duecentomila a prendere concretamente le armi in mano; così dicono tutte le ricerche storiografiche, almeno fino allo stadio attuale. Ma la Resistenza non era solo quella armata.

L’affermazione di Mattarella riesce non solo datata per la sua lettura parziale, ma anche abbastanza “offensiva” nei confronti degli internati militari italiani portati dai nazisti nei campi di concentramento. 600 mila soldati, su un milione lanciati da Mussolini in diversi scenari di maledetta guerra, in gran maggioranza le armi le deposero. Dopo però, di fronte alla domanda se volessero arruolarsi nell’esercito fascista della Repubblica sociale, per tre quarti risposero di “no”. Furono deportati; resistettero nei campi di concentramento alle nuove profferte nazi-fasciste; fra 50 e 60 mila pagarono con la vita.

Per la libertà anche in Italia c’erano quelli, ed erano in milioni, che erano disposti a rischiare la vita, ma non se la sentivano di imbracciare delle armi. Basti pensare ai parroci che nascondevano fuggiaschi ed ebrei salvandoli dai rastrellamenti nazi-fascisti; alle ragazze in bicicletta che facevano da staffette fra le formazioni partigiane in città e in montagna; alle donne che davano rifugio e cure a chi aveva abbandonato le armi ma non la speranza di costruire il mondo che avrebbero voluto. Aggiungo le tre fornaie di Francavilla di Sicilia che, sotto i bombardamenti, preparavano il pane e lo portavano ai paesani che si erano rifugiati nelle gallerie della ferrovia o nei casolari spersi per la campagna.

C’è una città in Sicilia che ha meritato due medaglie d’oro: quella al valor civile nel 1959 e quella al valor militare nel 1978. Una città che ha fatto quindi la Resistenza, a modo suo, nel contesto dato dalle vicende belliche. “Nobile e antica città della Sicilia duramente provata da calamità naturali e da eventi bellici, con impavida tenacia e sublime abnegazione da parte di tutta la sua popolazione, due volte risorgeva dalle macerie, mantenendo fiero ed intatto il suo amore di Patria. 1941-1943"; “Già duramente provata dall’immane disastro tellurico del 1908, risorta, è stata, durante la guerra 1940 - 43, dapprima obiettivo d’incessanti bombardamenti aerei, poscia, nel periodo dell’invasione dell’Isola, campo d’aspra e lunga lotta che la martoriò e distrusse. La sua popolazione, affamata, stremata, dolorante, sopportò stoicamente la più dura tragedia ben meritando dalla Patria. - Sicilia, guerra 1940 – 43”.

Messina non era un “popolo in armi” ma si è comportata “ben meritando dalla Patria”, anche se probabilmente al suo interno ospitava anche i disertori del dopo-sbarco anglo-americano in Sicilia.

Di una cosa si può star certi: che il “popolo” in armi e senza armi non voleva né guerra né fascismo. E questo lo ha scritto nella Costituzione repubblicana.