L’immensa libertà del barbone

L’immensa libertà del barbone

di Francesco Saija -

Dal 28 al 30 aprile abbiamo potuto partecipare, al Teatro “Vittorio Emanuele”, a un’ora e venti minuti di vero teatro.

Un bel monologo di Sergio Castellitto, tra la commedia e la tragedia, sull’esistenza e l’immensa libertà di un uomo da marciapiede, quello che di solito viene definito dai cosiddetti “normali” un barbone o un vagabondo e ubriacone.

Uno spettacolo di grande attualità che riesce a coinvolgere ogni tipo di spettatore perché, per vari motivi imprevedibili, ciascuno di noi potrebbe subire la stessa sorte di quella persona “scartata” dalla società, ma immensamente libera perfino da tanti bisogni che possiamo considerare essenziali.

Gli “scartati” e i barboni ci sono sempre stati e continueranno ad esserci, ma l’attuale mondo capitalista e neoliberista amplierà – come sostiene profeticamente papa Francesco – la pratica dello “scarto”.

Tanta gente, per motivi certamente personali, ma anche causati dalla “politica cattiva”, vivrà sui marciapiedi e negli angoli delle strade allontanata con disprezzo dalle “maggioranze” perbeniste, ma anche amata, consolata e aiutata da tanti altri esseri umani che vivono guardando il volto degli altri nella consapevolezza della comune umanità.

Ma, parliamo di letteratura e di teatro. Sergio Castellitto ha portato sul palcoscenico, come attore e come regista, lo spettacolo “Zorro – Un eremita sul marciapiedi”, tratto dal romanzo breve di sua moglie Margaret Mazzantini , pubblicato da Mondadori nel 2004.

Castellitto , come leggiamo in alcune note , “ torna a teatro per interpretare un vagabondo , un antieroe che riflette sul significato di una vita che lo ha portato , con le sue scelte , a vivere sulla strada. Ai margini della società , è capace di vedere la realtà osservando la vita delle persone comuni che vivono in uno stato di quotidiana normalità”.

Il breve romanzo della Mazzantini è diventato una vera e propria piéce teatrale mirabilmente recitata da Sergio Castellitto e ricolma di poesia , autoironia e grande umanità.

Pur scritto vent’anni fa , il testo esprime delle problematiche che non hanno tempo di scadenza e fanno parte della quotidianità di ogni tempo. Il problema del rapporto con i nostri simili , ma anche con gli animali e con l’intera natura , la solitudine degli esseri umani , i rapporti solidali , la tematica dei bisogni su cui tanti anni fa ha scritto la grande filosofa ungherese Agnes Heller e soprattutto la libertà dei figli di Dio , saranno sempre presenti fino alla fine dei tempi , se una fine ci sarà.

E certamente il teatro , che non è finzione , e che vive all’interno del nostro vivere quotidiano , non può ignorare quella che mi piace definire “l’immensa libertà del barbone”.

Su una scena ricolma di nebbia , il barbone Zorro-Castellitto , all’interno di un possente atto drammaturgico , ci appare come un derelitto ma al contempo come una figura umana di estrema grandezza proprio per la sua esplosiva libertà.

L’attore , nel ruolo di un barbone o closhard , in un lungo e intenso monologo che è anche apologo intriso di un grande contenuto etico , mostra all’umanità che sta in platea e a quella più vasta che sta al di fuori , la sua luminosa interiorità che , ripeto , è estrema libertà.

Dal suo privilegiato “osservatorio” dello scarto , riesce a vedere e distinguere la cosiddetta "normalità” che vivacchia nella quotidianità di un mondo in cui anche lui vive.

Zorro ripercorre l’intero percorso della sua vita , proiettando nella platea , come attraverso una lunga pellicola cinematografica , tutta la sua esistenza con i momenti belli e quelli brutti e dolorosi.

Zorro , a prima vista , può sembrare un personaggio immerso in una immensa solitudine .  Ma è solo una prima impressione. In effetti , il personaggio della Mazzantini vive , consapevolmente o inconsapevolmente , scartato in una società della quale è parte.

Il racconto diventato teatro , cioè vita di oggi , attualità vivente , diventa dialogo , diventa quel socratico dialogo filosofico che sta alla base del nostro vivere.

Il barbone Zorro parla certo di se stesso ma anche di tutti noi , di ciascuno di noi.

La panchina di una strada o di un giardino , che a Messina possiamo anche immaginare in riva al mare con un orizzonte infinito , diventa il luogo in cui il barbone dialoga con se stesso e con il mondo che lo circonda.

E sul palcoscenico del  teatro non vi è solo Zorro-Castellitto con i suoi ricordi , i suoi sogni di gioventù , la sua vita già trascorsa , ma , in un continuo crescendo , vi sono anche tante cose inanimate che vanno animandosi e che diventano personaggiviventi.

Un telo isotermico ( quello usato per accogliere i migranti infreddoliti ) , un guinzaglio per cane , una ciotola , un tavolo , tutto diventa realtà animata.

Il nostro attore diventa un grande affabulatore e vive sulla scena con il suo cane , con la madre che non c’è più , con un giovane che sulla strada viene investito.

La sua grande energia vitale e la sua comunicativa libertà si tresferiscono alla immobile platea , la coinvolgono e suscitano grandi applausi che esaltano non solo il grande impegno teatrale dell’attore , ma il Teatro tout court.

Lo spettacolo è stato prodotto da Angelo Tumminelli / Prima international company 2022.