PONTE SULLO STRETTO: SOGNO MISTIFICATORE

Lo Stretto di Messina - foto nuovosoldo.com

di Cettina Lupoi -

Alcuni sostengono che, alla vigilia dei lavori del Ponte sullo Stretto, sia ormai tardi non solo per ribadire visioni contrarie ma anche “sanatorie” ai fini di una leale dialettica tra contrapposte posizioni (confronto pubblico tra esperti, Referendum Consultivo…). A mio avviso, quando la posta in gioco è talmente alta, il famoso motto latino “Alea iacta est” (il dado è tratto) non è indicato, ritengo infatti che, qualsiasi tentativo volto all’equilibrio e al buon senso suggerisca l’opportunità dell’altro (motto) il ”Repetita iuvant”, oltre a tentare nuove strade utili alla causa.

Ritengo utile, a questo punto, un’attenta riflessione sulla presunta validità di un ponte che unirebbe, offrendo prospettive di futuro ai giovani.

E’ innegabile che i ponti, in talune specifiche realtà, abbiano apportato sviluppo e benessere. Si sono costruiti ponti per collegare continenti, stati, isole e città tra di loro, con equipollenti interessi economici e di sviluppo generale o magari per motivi contingenti, legati alla sicurezza e all’incolumità delle persone. Vedi ad esempio l’Akashi Bridge, ponte a tre campate e ciascuna meno di 2000 metri.

Prima di pensare di costruirlo i Giapponesi vi hanno impiegato molto tempo e alla fine sono stati costretti a realizzarlo, spinti dalla eccessiva impetuosità del mare tra le due sponde (la città di Kobe e l’isola di Awaji poste a notevole distanza l’una dall’altra) in cui annualmente si registravano decine di morti durante la traversata. Nel 1955 i morti sono stati 168 in un solo giorno, a causa di un terribile incidente di traghetti. Pare che i parenti stessi delle vittime si siano mobilitati per la costruzione del ponte e porre così fine a quella mattanza.

E comunque, a parte ciò, il Giappone per la sua conformazione territoriale (è un arcipelago formato da 6852 isole) di ponti non potrebbe fare a meno. Esaminando il ponte di Oresund, per rimanere in tema di grandi ponti, sappiamo che è parte di una tratta mista stradale/ferroviaria che collega Danimarca e Svezia (sorto in ambienti molto più favorevoli sotto il profilo sismico ed idro-geologico rispetto ad Akashi e Stretto di Messina), in cui gli interessi commerciali ed economici tra gli Stati sono equipollenti, atti a soddisfare anche quelli di un intero continente con la grande penisola scandinava. Il collegamento tra i due Paesi ha rappresentato l’ultimo, necessario, logistico anello di congiunzione tra ambienti dove la modernità e le vie di comunicazione si ponevano all’avanguardia.

Veniamo al nostro ponte sospeso ad un’unica campata di 3.300 m., la più lunga al mondo che, secondo vari esperti, sarebbe ad alto rischio soprattutto sotto il profilo dell’affidabilità (durata nel tempo). Sembra che gli acciai dei cavi reggenti non siano idonei a sostenere una campata così lunga (un chilometro e 300 metri in più rispetto a quella dei Dardanelli) sottoposta a carichi pesantissimi, per di più in un ambiente dove l’azione nefasta del vento (carico accidentale) ne minerebbe l’intera tenuta (vedi relazione ingegnere professore Antonino Risitano).

Lasciando da parte l’aspetto tecnico che altri cureranno nelle sedi opportune, sappiamo che questo ponte sorgerà in territori fortemente antropizzati per cui centinaia forse migliaia di edifici, parchi, strade, esercizi commerciali e professionali, scuole ed interi quartieri saranno spazzati via. Nessun luogo a Messina, Villa San Giovanni e comuni viciniori sarà abbastanza sicuro, non soltanto a causa dei disagi causati da inquinamento atmosferico ed acustico, viabilità compromessa ed altro ma anche per trovare una nuova abitazione o una nuova scuola per i figli, poiché non è da escludere che in corso d’opera si verifichino condizioni tali da rendere necessari spostamenti di cantieri, aree di deposito o altro, per cui quelle presunte "zone sicure" non saranno più tali; per non parlare dei danni culturali, ambientali, naturalistici che ne deriveranno. Il tutto per collegare due sponde che distano poco più di 3 km. tra loro, con l’ingenua convinzione che ciò porterebbe ricchezza e sviluppo al Sud ed all’Europa …

Porre parallelismi tra realtà storico-socio-ambientali lontane anni luce tra loro è solo creare pericolose illusioni. La Sicilia non è né la Danimarca né la Svezia e tantomeno il Giappone; si tratta quindi di accostamenti arbitrari a scopo fuorviante, il tipico “specchietto per le allodole” per usare una metafora.

E comunque non ho mai sentito di ponti (per di più costosissimi) costruiti per risparmiare 30 minuti di traversata, gli esperti ci dicono che costruendo con cifre molto più contenute navi capienti e veloci i treni di ultima generazione potrebbero essere trasportati in tempi brevi, e neppure di ponti progettati per collegare continenti a piccole isole: la Sicilia, sebbene terra di grande storia e cultura, territorialmente ed economicamente rimane una minuscola espressione geografica.

E per carità! Non mi si venga a raccontare di una Sicilia come futuro polo per intercettare merci da tutto il Mediterraneo e che, grazie al ponte, connetterebbe all’Europa addirittura continenti posti nell’altro versante.

A parte il fatto che nel progetto definitivo non sia stata per nulla definitiva ma appena accennata tale materia, da comune cittadina mi chiedo: “Ma non esiste già il porto di Gioia Tauro che assolve a tale funzione?” Non capisco quale garanzia potrebbe mai offrire il potenziamento di ulteriori poli portuali nel meridione, con il serio rischio di entrare in competizione tra loro come è successo in altre parti del mondo, con conseguente danno all’economia del Paese.

Inoltre se un porto così importante come quello di Gioia Tauro (il più grande d’Italia), sebbene dai tristi trascorsi, in quasi 30 anni non è riuscito a creare condizioni di sviluppo alla regione Calabria (povera era e disperata rimane!) perché la sorte dovrebbe essere più clemente, in tale frangente, verso la Sicilia?

Eppure si continua ostinatamente a proporre il Ponte sullo Stretto come modello di futuro per i nostri giovani.

A volte mi chiedo, senza polemica alcuna ma solo con tristezza, quale delirio mai avrà indotto questi poveri uomini verso un simile feticcio che li ha resi schiavi, incapaci di qualsiasi riflessione che vada al di là dei soliti slogan, verso certezze indiscusse orfane di confronto, impegno conoscitivo, umiltà di vedute … Quale demone si sarà impossessato delle loro anime perse dietro sogni di riscatto mistificatore, di illusioni di futuro per le nuove generazioni?

E a proposito di giovani mi preme un particolare appello da rivolgere a loro, con preghiera di considerarlo l'ennesimo, benevolo, fiducioso messaggio di una docente in pensione.

Cari ragazzi, non barattate il vostro futuro con insulse promesse di adulti che affidano alla vostra coscienza pura il riscatto dei propri fallimenti. Non vi abbiamo lasciato molto, è vero! Ma non permettiamo che ci portino via quello che di bello e buono ancora ci rimane. Siamo ancora in tempo per rimediare, fare ammenda, costruire insieme in una terra gravida di promesse. Voi con l’energia e l’entusiasmo che vi appartengono, noi con severa autocritica e proposte di sviluppo reale che valorizzino la bellezza, la storia, la vocazione naturale dei territori e che non possono né potranno mai essere il Ponte sullo Stretto.